Sono lontani gli anni in cui Gino Paoli cantava dei suoi amici al bar, immersi in discussioni idealistiche e oniriche su un mondo nuovo: oggi, i locali, da semplice luogo di aggregazione e socializzazione si stanno trasformando in posti dove molte, anzi troppe persone trovano la loro rovina economica, ma anche sociale e familiare.
La colpa è di quelle mirabolanti macchinette che promettono sogni e soldi facili, semplicemente schiacciando un tasto.
Si chiamano slot machines che, tradotto, significa distruzione di capitali economici, di affetti e amicizie.
Un pò come si inizia a fumare, si inizia a giocare: “Cosa vuoi che sia una partita?”, “Tanto smetto quando voglio” sono i ritornelli con cui ci si avvicina alla sorte delle slot che, giocata dopo giocata, come moderne sirene, lanciano un canto a cui è sempre più difficile resistere e scivolare nella ludopatia, meglio nota come gioco d’azzardo patologico, è sempre più facile.
Da qui l’impegno sempre più crescente, nato dal basso, dai cittadini che, di fronte a uno Stato che da queste promesse di soldi facili continua a riscuotere cifre sempre più esorbitanti (nel 2010 erano ben 8 milioni di euro), di fronte al continuo arricchimento delle multinazionali del gioco d’azzardo e alla sempre più lunga e inquietante ombra delle organizzazioni criminali, di promuovere il consumo critico e boicottare gli esercenti che hanno le slot machine.
Da queste premesse è nata SlotMob, l’iniziativa che, con un marchio, intende rendere visibile l’impegno etico di quanti gestori hanno rifiutato di ospitare le macchinette demoniache al loro interno; sempre di più sono quelli che hanno recepito la proposta del movimento per installare il caro e vecchio calcio balilla o tavoli da ping pong: il buon gioco deve sostituire il cattivo gioco d’azzardo che crea dipendenza e isolamento.
Dunque, anche un caffè può fare la differenza: prediligiamo sempre locali slot-free.